A volte mi sono interrogato sul senso di un gesto insensato, dettato dalla malattia di un singolo individuo, alle prese con le sue turbe, le sue frustrazioni e ne ho ricavato una serie di convincimenti, di discussioni e di scritti.
Ora mi sento di osservare, con una visuale più ampia, le follie, che in questi giorni si sono succedute in questo mondo sempre più compresso tra la ricerca spasmodica di sensazionalismo e l'efferatezza dell'uomo verso il prossimo.
Che si parli di incoscienza cinica, di cattivi o mancati investimenti, di azioni dettate da un credo religioso, piuttosto che dal cinico opportunismo politico, a rimetterci sono, nel piccolo come nel grande, persone, uomini, donne e bambini inermi, innocenti. Mi chiedo a questo punto se stiamo accettando supinamente questo nuovo livello di pazzia. Quella domestica ci devasta e quella globale, troppo spesso, rischia di lasciarci indifferenti o al massimo, ci porta a asserire, esclamare il nostro dissenso e nulla più. Credo che sono nelle azioni, nei gesti, anche queste infamie vadano combattute, cominciando a chiamarle con il loro nome: follie.
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